Relazione letta al Premio Franco Cuomo International Award – Ancislink – 2014
Roma, 4 dicembre 2014
Difficile parlare di legalità. E’ una parola “abusata” nel linguaggio corrente, nei contesti più disparati: dai salotti televisivi alle immancabili passerelle, ora per dare forza a un proclama, ora per convincere sull’opportunità di una decisione. Spesso politici, amministratori, vertici di grandi società, la utilizzano per ammantare di una veste di eticità il loro operato. Rassicura, fa effetto, ci sta sempre bene. Ma alle parole spesso non corrispondono i fatti e allora questo termine finisce per perdere ogni significato.
Eppure la parola legalità è così bella, così importante: rappresenta l’ossatura della nostra Costituzione, ne ispira ogni articolo, ne pervade ogni passaggio.
Legalità è una parola “madre” che racchiude in sé gli ideali di giustizia, di verità, di libertà. Poiché se c’è legalità c’è libertà dai soprusi, c’è rispetto della legge, c’è affermazione dei diritti e delle regole di convivenza sociale. Non c’è intolleranza, non c’è discriminazione, non c’è sperequazione, non c’è prevaricazione.
Nel nostro Paese l’illegalità rappresenta un male endemico. Le mafie che controllano interi territori, che si infiltrano nei gangli vitali dell’economia, delle amministrazioni pubbliche e nei contesti sociali più ampi, hanno radici profonde, lontane nel tempo, difficili da estirpare. Il sistema di corruzione è dilagante: da Nord a Sud, nelle aree ricche come in quelle povere – complice una burocratizzazione eccessiva e poco trasparente -. E’ poi di tutta evidenza che l’illegalità nei comportamenti dei pubblici poteri: politici, amministrativi e giudiziari produce nella collettività notevoli danni, oltre che economici anche etici: sia per effetto del più alto senso dello Stato richiesto a chi riveste cariche pubbliche, sia per l’effetto domino che detti comportamenti provocano. Si innesca una grave crisi di fiducia che non favorisce comportamenti virtuosi da parte dei cittadini.
E’ per l’affermazione della legalità e del rispetto della legge che nel nostro Paese magistrati, esponenti delle forze dell’ordine, funzionari dello Stato, politici, giornalisti e imprenditori hanno perso la loro vita. Sono loro, “guardiani della legalità”, che hanno consentito all’Italia di crescere, di progredire, di continuare ad essere, nella sostanza, uno Stato di diritto, uno Stato democratico.
La legalità è un principio da difendere e da tradurre in prassi quotidiana. Tutti siamo chiamati ad osservarla.
E’ la legalità del “fare” che restituisce autenticità, senso e concretezza a questo principio.
E’ sulla bocca dei tanti familiari delle vittime di mafia che le parole giustizia e verità sono quasi un grido! E’ nel loro impegno a “fare memoria”, a rendere testimonianza, che si semina legalità.
E’ negli insegnanti di Afragola che ho conosciuto, che ho visto questo principio tradursi in realtà. Vivono con impegno e dedizione il proprio ruolo: sollecitano con ogni strumento l’interesse dei loro studenti, raccontano fatti quotidiani per catturarne l’attenzione “poiché -spiegano- qui il problema è tenersi i ragazzi a scuola”. Il tasso di abbandono scolastico in quelle zone è molto alto.
E’ nei volti dei commercianti che denunciano il pizzo che ho visto il coraggio, la dignità, la richiesta di giustizia, la fiducia nelle Istituzioni.
E’ appunto la fiducia nelle Istituzioni unitamente ai valori di giustizia e di libertà che guida la coscienza di cittadini onesti a non voltarsi dall’altra parte, a denunciare ingiustizie, soprusi, intimidazioni. Abbracciare la legalità è dignità, è libertà. Certo, è un dovere, ma quanta fatica per le conseguenze che innesca! Sul piano sociale e repressivo gli effetti sono positivi. E’ questa legalità del “noi” che deve tenere insieme il tessuto sano della società e fare da argine ai tentativi di corruzione. Ognuno deve fare la sua parte. Non si può sempre delegare ad altri, il compito di contrastare l’illegalità.
Certo, il potere politico ed economico ha le sue responsabilità se ancora nel nostro Paese esistono zone franche, illegalità di ogni tipo, categorie protette, privilegi inaccettabili – nonostante timidi tentativi di riduzione degli stessi –.
Ma c’è chi fa da “pungolo” al mondo politico e ai gruppi di potere.
Senza realtà “vive” come l’associazionismo e il volontariato saremmo tutti molto più “poveri”, eticamente e moralmente e anche più soli, tenuto conto che il supporto di un’associazione può farci vincere paure e indecisioni. La partecipazione civile e sociale alle manifestazioni, ai dibattiti, alle fiaccolate, spesso dopo eventi mobilitanti come delitti e stragi di mafia, nel richiamare l’attenzione delle Istituzioni, pone questioni e chiede risposte sul piano della giustizia e sul ripristino di condizioni di legalità. Studenti, insegnanti, sacerdoti, commercianti, professionisti vari e semplici cittadini, accomunati dai medesimi interessi e valori esplicano (nell’ambito di una varietà di forme associative: comitati, centri studi, fondazioni) le seguenti funzioni: mobilitazione, analisi e conoscenza dei fenomeni, educazione e formazione, denuncia, formulazione di proposte, testimonianza.
E’ grazie all’associazionismo che si creano – anche in territori difficili – sinergie positive a difesa e a supporto della legalità.
Occorre sobrietà e coerenza nei comportamenti. Poiché, capita pure, che il vessillo della legalità possa nascondere altri interessi.
I cittadini percepiscono il sistema politico come un sistema che si autotutela, spesso fuori dalle regole, autoreferenziale. Serve una buona politica: quella che traduce in atti concreti la solidarietà, il superamento delle diseguaglianze, la tutela dei diritti. Quella che, in sostanza, opera a favore della collettività, nella legalità. Su questo versante, c’è ancora molta strada da fare.
L’etica della responsabilità e del risultato deve guidare l’azione dei politici al di là di facili slogan che incrementano inutili speranze. Nulla di più dannoso in un periodo di crisi sociale ed economica come quello che stiamo vivendo.
La legalità non è un modello, un obiettivo astratto, poiché è prassi, è agire concreto nella quotidianità, determina i nostri comportamenti, ci impone delle scelte. C’è uno slogan in un volantino dell’associazione Libera che dice: “E tu, da che parte stai?” Nulla di più efficace. Bisogna decidere da che parte stare. E la scelta diventa impegno, responsabilità. Se stai dalla parte della legalità, del rispetto delle regole, non puoi “ammiccare” all’altra parte, scegliere scorciatoie o facili guadagni.
Ecco: educazione alla legalità, significa appunto educare alla responsabilità, alla consapevolezza, alla partecipazione alla vita democratica della propria comunità. Pensata per i ragazzi e realizzata nelle scuole con una miriade di progetti, servirebbe in effetti anche agli adulti. A quegli adulti che ne hanno smarrito il senso.
Non si tratta solo di osservare le leggi. Ma di realizzare quella legalità sostanziale che è qualcosa di più: è un sistema di principi, idee e comportamenti teso a realizzare l’uguaglianza fra i cittadini, i valori della libertà e della dignità della persona; teso ad affermare la giustizia, la tolleranza, l’integrazione, la non violenza. Resta dunque un obiettivo fondamentale da raggiungere. Un obiettivo “permanente”, per essere realistici. Ma deve diventare – per produrre effetti positivi – progetto condiviso da tutte le agenzie educative e formative che operano sul territorio con ruoli diversi: la scuola, la famiglia, le comunità ecclesiali, i mezzi di informazione, l’associazionismo laico, i partiti politici. Accompagnare la crescita e la formazione dei ragazzi vuol dire prepararli, renderli cittadini consapevoli. Liberi possibilmente dai condizionamenti, dalle pressioni del potere, dalle paure del bisogno, dalle intimidazioni del boss di turno. Liberi, e non “prigionieri” di apparati e sistemi socio-economici che spesso ingabbiano le coscienze.
Penso al terribile omicidio di Don Pino Puglisi. Nelle parole di Gaspare Spatuzza, uno dei due assassini, poi divenuto collaboratore di giustizia: “L’omicidio di Don Puglisi è diverso da altri. E’ impostato come un attacco mirato ad un educatore dei nostri figli (…) era un uomo che poteva minare i fondamenti del controllo e del comando totale sul quartiere di Brancaccio. Andava per conto suo a risvegliare le coscienze e ad aiutare le famiglie povere (…)”.
Qui è la forza dirompente e rivoluzionaria di chi crea percorsi di legalità sostanziale. Questo risvegliare le coscienze, parlando di diritti, di rispetto della legge, creando consapevolezza, rappresenta un pericolo reale per il potere mafioso che ha bisogno di sudditi, di omertà, di obbedienza. E di manovalanza accondiscendente.
Don Puglisi era un uomo di fede ed era un uomo libero, non cedeva a compromessi né alle lusinghe del potere. Non imponeva modelli educativi: il suo incessante operare nella strada, “fuori dall’ombra del campanile” della sua parrocchia, puntava a restituire libertà, dignità, a costruire “uomini liberi” in un territorio governato da regole mafiose. E proprio questa sua attività era diventata un pericolo reale per coloro che nel quartiere detenevano l’egemonia mafiosa.
Il periodo di crisi economica e sociale che stiamo vivendo mette a rischio la legalità su molteplici fronti. Sul piano sociale le paure del futuro creano chiusure, individualismi. E’ un’incertezza che rende vulnerabili, fragili e che espone al rischio di una “non azione” di una “perdita di senso”. Un abbandonarsi fatalistico al corso degli eventi. Ma il presente e il futuro non vanno subìti.
“Ci sono momenti – sono parole di Franco Cuomo – in cui è un dovere cambiare il corso della storia. E’ per questo che bisogna sempre tenere alta la guardia, evitando il sonno delle coscienze e l’anestesia della ragione”. Ecco, appunto, “sonno delle coscienze” e “anestesia della ragione”. Questa condizione annebbia la possibilità di sognare. Di crescere, di avere un progetto di vita. Di dare un senso al nostro vivere. Uccide la speranza. Nulla di più atroce. Bisogna andare oltre e trovare, se possibile, il senso autentico del nostro vivere, il desiderio di esserci, di partecipare andando oltre se stessi. Le istituzioni democratiche esistono, indipendentemente da coloro che ci rappresentano. Gli ideali di giustizia e libertà non hanno stagioni. Sono i pilastri della nostra democrazia.
Dobbiamo diventare un po’ tutti “guardiani della legalità” praticandola. Solo così si può evitare il rischio che il fondamento e l’ossatura della nostra democrazia si indeboliscano.
Il cambiamento chiama in causa tutti. E’ la legalità del “noi”, di quell’insieme cioè di relazioni che investono i vari ambiti sociali, che deve darci forza, poiché cittadini attivi e non passivi, per guardare oltre e consegnare alle nuove generazioni, se possibile, un Paese migliore.
Giovanna Montanaro